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Il risciò: L'unica utilitaria davvero ecosostenibile: fa mediamente 100 km con un kg di pasta e ci vai praticamente ovunque. E la tua? in risciò da Monaco di Baviera a Genova
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Quindicesimo Giorno

Venerdi 7 settembre 2007

Come andò che presso Fiorenzuola d'Arda bevvi il caffè con un fiero indipendentista sardo, a Piacenza venni scambiato per un principe e a Casalpusterlengo presentii che Milano è fin troppo vicina.



L a mattina si fà rumorosa, nel dormiveglia sento intorno a me curiose voci di uomini e rumori di camion in manovra, ma ciò non è abbastanza per farmi emergere dalla coltre di feltro che mi avvolge completamente.
Il fatto che nessuno mi veda in faccia e neanche altrove – devo assomigliare ad un grosso fagotto informe e nero che respira- mi preserva probabilmente dall'essere svegliato troppo presto.
Finalmente verso le 9 decido che è ora di iniziare la giornata. E uscito fuori dal pastrano e mentre mi sgranchisco le gambe capisco piano piano dove mi trovo e cos'èrano tutte quelle voci: il piazzale è occupato da altri tir, e quelli che erano parcheggiati qua stanotte sono già stati lavati.
Questo infatti è un autolavaggio per autotrasportatori, e il fatto che ci sia questo servizio proprio qua sulla via Emilia spiega forse in parte il prepotente traffico di mezzi pesanti, che secondo logica farebbero meglio a percorrere l'autostrada che corre proprio parallela.
Qualcuno dalla baracca attigua al lavaggio, un uomo piccolo e scuro, mi viene a porgere un bicchierino di plastica con il caffè appena fatto dalla macchinetta. Lui e il fratello sono impiegati in questo autolavaggio, vengono dalla Sardegna e da qualche anno sono stabiliti in questa zona. Gesuino, cosi si chiama il più loquace dei due, mi indica con il dito le colline in lontananza, sulle cui pendici si trova la sua casa. è un tipo molto gioviale, e mentre mi offre del tabacco e poi un altro caffè, mi rende partecipe del suo mondo e dei suoi punti fermi: dell'essere buono, pacifista e amichevole, della cultura rasta, della vocazione di essere Sardo nella testa e nel cuore, dell'educazione dei suoi figli, e tante altre cose che hanno prolungato e intensificato intellettualmente questa serena mattinata.
Gesuino mi ha anche dato l'indirizzo di un suo amico di Piacenza che ha un negozio speciale, di articoli per la canapa. La canapa è un argomento interessante, perchè alcuni raccontano di quanto fosse diffusa questa pianta, in particolare in Liguria, e di come venisse usata per ricavarne un buon tessuto.
Era una voce essenziale dell'economia pre-industriale, e questo lo si riscontra ancora oggi nella patronimica: il cognome “Canepa” è molto diffuso a Genova. Poi la produzione di canapa non ha resistito al dumping del cotone americano, e da diversi decenni ne è stata addirittura proibita la coltivazione, salvo varietà rigidamente controllate che non presentino la sostanza necessaria per farne una droga. Forse potrei trovare in quel negozio delle sementi “legali” da coltivare per prova.
Per una vera e propria colazione ho aspettato di arrivare nella prossima località sulla via Emilia, Cadeo.
A Cadeo è giorno di mercato, il mercato occupa una traversa della statale, e ne approfitto per vedere che cosa c'è di buono da mangiare qui.
Da un banco del salumiere mi faccio dare un assaggio di un po' di tutto, e una signora accanto a me che si accorge che sono forestiero mi dichiara con un certo orgoglio che la cucina piacentina è la migliore d'Italia, ed è un fatto riconosciuto anche dagli esperti della gastronomia.
Ogni tanto ci si imbatte in un cartello color marrone con un disegno di un buzzurro che cammina con un bastone in mano, e che indica che di là passa la via Francigena, un tragitto che già dal medioevo seguivano i pellegrini e i mercanti per andare dalla Francia a Roma a piedi. Questa via valica le Alpi al Moncenisio, prosegue fino a Pavia e poi segue la via Emilia fino a Fidenza; là va su a scavalcare l'Appennino e ridiscende attraverso Pontremoli, Pietrasanta, e infine intorno a Siena si collega con la Cassia fino a Roma.

Per mezzogiorno ero a Piacenza. Nel sobborgo di periferia che ho attraversato per raggiungere il centro ho incontrato soprattutto persone provenienti da paesi extraeuropei.
Mi sono fermato ad un Call-shop con la possibilità di collegarsi a internet, che era gestito da una donna africana, mentre più avanti ho comprato una scatola di datteri secchi e un blocco di zucchero di canna grezzo in un “africa-shop”, gestito e frequentato da nigeriani e senegalesi. Era una cosa che non avevo mai visto: di solito si trova in commercio lo zucchero di canna ridotto in cristalli o grani piu o meno fini, ma questo invece è proprio grezzo, non è stato neanche lavorato per farlo in grani. Lo si può grattugiare direttamente dove si vuole avere lo zucchero, o fare a pezzi piu piccoli e usarli come i quadratini di zucchero nel the.
Poi ho proseguito assieme ad alcuni di questi africani, di cui da una parte dovevo constatare l'affabilità con cui sono stato trattato, dall'altro dovevo osservare in loro quella cieca aspirazione al possesso privato di beni di lusso che è già stata la rovina spirituale di molti fra coloro che in questo contesto economico ci sono nati e cresciuti. Se da che mondo e mondo gli immigrati si sono sempre sostenuti a vicenda in un ambiente nuovo e spesso ostile, rinunciando al proprio benestare a favore del benessere della comunità di appartenenza, questa socialità viene progressivamente meno col tempo e con il raggiungimento di un'agiatezza maggiore, a favore di un interesse maniacale per oggetti e accessori che servano a non sentirsi più parte della massa di appartenenza, ma emanciparsene, per assomigliare ai 'principi'. I nuovi immigrati sono anche sempre spiritualmente e non solo umanamente più ricchi, e sono ricchi di umanità, di spirito di iniziativa, di creatività e di generosità proprio nella misura in cui sono poveri economicamente.
Ho provato una punta di tristezza per le donne nigeriane che sedevano allegramente sul risciò, quando dopo un po' di strada assieme si sono alzate e sono fieramente saltellate sulle scarpine con i tacchi fino al loro maestoso SUV, guardandomi come per dire: ”poveretto che non ha la macchina”.

Improvvisamente in mezzo alla via si staglia una statua della lupa capitolina sostenuta da due colonne: è l'ingresso nella città antica. Dopo poco sono già nella piazza centrale, la piazza dei Cavalli.

palazzo Farnese


I signori di Piacenza sono stati per un bel periodo i Farnese, che hanno costruito molti dei palazzi storici che si ammirano tuttora nel centro, ed anche quelle enormi statue che danno il nome alla piazza dei Cavalli; ma l'elemento per me più bello del paesaggio cittadino è il palazzo comunale, detto il “Gotico”: è fatto di mattoni rossi e di marmo bianco, e porta in cima le merlature come un castello lombardo.
In quella piazza mi sono cercato un posto dove pranzare, e ho optato per l'unico locale della piazza con i tavolini fuori.
Era il Gran Caffè Ranuccio, evidentemente un locale storico della scena borghese piacentina, molto elegante, soprattutto gli interni, arredati con vetri, quadri, mobilio e sedie in stile. Ho parcheggiato davanti al portico e proprio a fianco sotto il portico c'era un tavolo che veniva liberato dal precedente ospite. Ma mentre sto vestendomi in modo più consono al livello del gran ristorante mi vedo fermare da un agente in divisa.
“Mi mostra un documento?” E dopo aver constatato che non sono straniero:”Dove sta andando?” “A Genova”. “”E come, con questo?” sorridendo. “Qualcosa me lo impedisce?”. Lunga pausa, immerso nel rileggere le informazioni riportate sulla carta d'identità. “Ma mi dica la verità, lei deve essere un principe, o qualcosa del genere...” “No, che io sappia non ho ascendenze nobili..” e mi sono seduto per mangiare. Strani pensieri che si fa la gente, non è vero? Chi poco fa mi prende per poveraccio, e chi ora per principe!
Il menù è a base di pesce, il cameriere è gentile e mi ripete un paio di volte tutti i piatti che ci sono in programma oggi.
Naturalmente non mi sarei aspettato un menù marinaro in un capoluogo emiliano, ma mentre lentamente assaporo – dopo tanto tempo – del pesce ligure, mi rendo conto che dietro le montagne c'è già Genova, e mentre questo pensiero mi attraversa la mente, esso si condisce della constatazione che la gente qui non parla molto diversamente da come parlerebbe a Genova.
La erre moscia o alla tedesca è molto diffusa, perlomeno fra gli avventori di questo locale, e la cantilena della parlata potrebbe essere accomunata al lombardo come al ligure o al piemontese.
Nessun termine dialettale che abbia potuto notare: qui si cura l'italiano standard.
La piazza era calma e soleggiata, neanche l'ombra di un turista, nè di via vai di traffici. Solo qualche persona in giacca e cravatta scesa a prendere un caffè da qualche ufficio nelle vicinanze, altrimenti grande pace pomeridiana. Che sarebbe durata ancora fino alle 4, quando riaprono gli esercizi. Ho gironzolato di qua e di là per il centro, quindi ho cercato la via di questo negozio di canapa.
Chissà se vendeva anche qualcosa in tessuto di canapa, ne vorrei volentieri averne un po addosso, o come lenzuolo, e testare come si comporta a contatto con la pelle. Per raggiunge via Scoto devo percorre una via in salita che attraversa una specie di fiera-mercato allestita in un parco, e una volta arrivato in viale Dante, via Scoto ne è una traversa. Il negozio è piccolo e pieno di curiosità. Ci sono per esempio delle luci speciali per far crescere le piantine di canapa anche all'interno di un appartamento o in un altro luogo privo di luce solare diretta, poi ci sono delle bustine di semi di canapa “da collezione”, che è proibito piantare su suolo italiano perchè equivarrebbe a produzione illegale di sostanza stupefacente. Il ragazzo sardo che possiede questo negozio mi spiega come sia difficile coltivare in italia canapa per tessuto, per via delle strettoie legali a cui questa attività è soggetta. Il mercato delle semenze per esempio non è libero, ma sei obbligato a comprarle da un ente apposito della comunità europea, che controlla accuratamente che i semi non possano dare vita a piante ricche di sostanza stupefacente, e che possibilmente non siano troppo fertili per non dare luogo a mutazioni da generazione in generazione. Pare che in piena era industriale la canapa sia stata anche applicata alla produzione di materie plastiche e alla raffinazione di carburante per automobili a combustione. Ma l'uso forse più semplice e geniale della fibra di canapa è quello edilizio: sono in commercio pannelli isolanti fatti di una specie di spesso “feltro” di canapa, che pare isolino molto meglio di tanti strati isolanti di materiale sintetico. Ora prima di lasciare la città alla volta di Lodi, ho voluto visitare ancora un luogo di gran bei quadri: la galleria Ricci-Oddi, che non era molto lontana.
Erano già le cinque quando sono arrivato alla villa che ospita la collezione Ricci Oddi.
Potrei dilungarmi a lungo nel decantare la ricchezza, la varietà e la qualità complessiva di questa pinacoteca, il cui iniziatore si è posto come obiettivo di vita di cogliere il meglio dell'arte a lui via via contemporanea, dall'Ottocento fino alle avanguardie di metà Novecento.

Là dentro ho perso volentieri la cognizione del tempo, come spesso accade ad una festa dove riincontri tanti vecchi amici e ti vengono presentate tante altre persone simpatiche.

Piacenza si trova sulla riva del Po. Una volta attraversato il fiume sulla via Emilia, si è già in Lombardia. Ho programmato di proseguire lungo la via Emilia fino a Milano, invece di dirigermi verso Voghera ed arrivare così a Genova nel giro di qualche giorno, in primo luogo per onorare di una visita i miei cari zii, che abitano in un comune limitrofo alla metropoli meneghina.
Passerò quindi il fine settimana con loro e con i miei cugini.
Secondo il programma oggi dovrei arrivare a Lodi, ma a Piacenza la visita alla collezione Ricci Oddi si è – ma ne è valsa comunque la pena – protratta di almeno un'ora a spese della marcia Piacenza-Lodi, ed ora, quando già il sole stava tramontando, ero ancora all'altezza di Casalpusterlengo. Ho pensato così di entrare nel centro di questa cittadina e telefonare al numero dell'ostello di Lodi che avevo trovato su un affidabilissimo sito internet di operatori turistici del lodigiano. Al numero mi risponde una voce femminile: “qui non c'è nessun ostello, ma noi affittiamo camere, ah no, le singole le abbiamo occupate, avremmo degli appartamenti, a partire da 100€ per notte.....”. Al tavolino del bar dove sto telefonando mentre bevo un succo di frutta, nella piazza centrale di Casalpusterlengo, ci sono alcuni signori che si prodigano di spiegarmi qualcosa di questa città, in cui sono entrato per caso. Vicino alla piazza si erge la torre Pusteria, da cui il nome del paese, che sarebbe stato secoli fa un luogo di orgie e gozzoviglie dei principi locali.
Ora mi conveniva chiedere di un posto dove pernottare qui nei dintorni, perchè stava già calando la notte e la temperatura sembrava scendere notevolmente. Inoltre non sarebbe stato assennato nei confronti del mio fisico passare un'altra notte all'addiaccio. Siamo nel mezzo della pianura padana e l'umidità notturna qui non deve essere piacevole. Mi dicono che ci sono alcuni alberghi nel paese, e di chiedere là, ma altrimenti c'è un solo albergo un po' più alla mano, un po' fuori del paese, proseguendo sulla statale per un tratto, poi prendere il cavalcavia a destra e proseguire diritti in direzione Cremona fino all'entrata della zona industriale (via Lever Gibbs). Prima di abbandonare la possibilità di dormire nel paese ho girato un po' in cerca di un albergo che non fosse a 4 stelle. Ce n'era uno da cui usciva proprio in quel momento una giovane coppia. Erano dei turisti anglosassoni. Ho chiesto loro con disinvoltura come fosse quest'albergo, e come fossero i prezzi. Avreste dovuto vedere la faccia della ragazza! Sembrava che avesse visto un alien di rydleyana memoria. Certe persone troppo sensibili ad “incontri ravvicinati del terzo tipo” farebbero forse meglio a non allontanarsi troppo da casa! In realtà temo che dovunque mi trovi per strada ci sia sempre una discreta percentuale di persone intorno a me che accusa la mia presenza come una inspiegabile minaccia alla propria incolumità o al proprio portafoglio. Una paura irrazionale, dovuta forse allo stereotipo diffuso del rikscha-wallaa indiano che ti guida fino ad un angolo nascosto e ti fa secco per fregarti i soldi. Un buon ruolo giocano per gli stranieri alcuni manuali turistici dedicati alle città italiane, dove sotto la voce “raccomandazioni” spesso viene caldamente consigliata la diffidenza nei confronti degli sconosciuti.
L'albergo è davvero troppo caro, e non ha neanche il parcheggio recintato! è un hotel per turisti danarosi, ed io non sono nè l'uno nè l'altro. Lungo la strada per raggiungere l'hotel “Due Fontane” incontro un signore rumeno della zona, che si ferma con la sua auto e mi fa un sacco di domande, tipo se sono davvero italiano o faccio per finta, e se sono uno zingaro. Ho lasciato fare anche a questo signore un giro al volante del risciò, sedendomi io dietro, ed è sembrato soddisfatto della prestazione del veicolo.
Per arrivare all'albergo passo da una grande area di sosta per camionisti, dove c'è un gruppo di tre camionisti polacchi che stanno finendo la cena, seduti ad un tavolino da campeggio, e fumandosi una sigaretta. Il fumo è un argomento che davvero abbatte i confini culturali, e infatti dopo qualche minuto per affinare le nostre capacità linguistiche gli uni nell'idioma dell'altro, abbiamo fumato un sigarillo a testa, di quelli che ho comprato nel tabacchino a Parma assieme alle cartoline. Questi uomini, tutti e tre grandi come montagne, si sono improvvisati salaci goliardi e mi hanno raccontato in polacco delle loro avventure galanti con le ragazze russe... per una buona mezz'ora. Uno di loro ha insistito per portare in giro intorno a quel piazzale i suoi due colleghi. Saranno stati tutti e tre assieme non meno di 250 chili!
Poche centinaia di metri più avanti era l'albergo, una piccola palazzina circondata da un'aiuola. è un albergo per gente che ha affari da sbrigare a Milano. La metropoli dista ancora 50 km, ma qui ne è già un satellite.
La signora al bar-reception, evidentemente la padrona, mi ha messo di fronte alla dura realtà: non meno di 50€ per una notte. Allora cerco di spiegarle in modo gentile che se tutti gli alberghi fossero stati così esosi lungo il mio tragitto, a quest'ora sarei già morto o di fame o di freddo. Ma siccome non sono il tipo che insiste, ho chiesto subito dopo se mi poteva indicare un'alternativa di più basso livello sulla via per Lodi. Ci sarebbe stato un altro albergo, ma sarebbe stato difficile trovarlo di notte al buio, e non era neanche detto che fosse meno caro di questo. Ma piuttosto potevo chiedere ospitalità ai mattacchioni polacchi di poco prima... avrei dovuto però comunque procurarmi un riparo sicuro da occhi indiscreti per il risciò. Mentre riflettevo così la signora ha pensato, date le circostanze, di venirmi incontro tirando giù il prezzo in via eccezionale fino a 40€. È per me comunque tanto denaro, anche considerando che in questo prezzo non è compresa che una simbolica colazione a cappuccino e brioche.
Ma in definitiva stasera sono davvero stanco e ho proprio bisogno di farmi una doccia e di dormire in un letto come si deve. Dopo essermi lavato, cambiato e riposato, sono tornato giù al bar a prendere una camomilla prima di dormire.
Improvvisamente non avevo nè fame ne sonno, e mentre cercavo di addormentarmi ho guardato un po' di televisione steso sul letto.
E presto o tardi mi sono anche addormentato.

Fiorenzuola d'Arda-Piacenza: 22 km ;
Piacenza-Casalpusterlengo: 17 km


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