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Il risciò: L'unica utilitaria davvero ecosostenibile: fa mediamente 100 km con un kg di pasta e ci vai praticamente ovunque. E la tua? in risciò da Monaco di Baviera a Genova
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Settimo Giorno

giovedì 30 agosto 2007

Come andò che da Besenello proseguii a tutto "gas" attraverso il Trentino fino a Verona, ove per prima volta a Verona un italiano trasportò degli indiani dell'India su di un risciò europeo. E come andò che proseguii nottetempo fino a Torri di Confine, dove due gendarmi mi augurarono la buonanotte.



L a sveglia è alle sei e mezza. La notte è stata poco riposante per me. Era freddo nella stanza e mi svegliavo continuamente per via degli spifferi d'aria fredda. Il mio ospite invece sembrava aver dormito molto bene e mi ha preparato un caffè, mentre io mi autoconvincevo di aver dormito sufficientemente. Alois se ne va presto presto al lavoro, io rimango ancora un bel po' li nella legnaia sotto la palazzina dove abbiamo parcheggiato ieri, per controllare le gomme prima di ripartire. Alla radio c’è il giornalista di turno che risponde alle domande degli ascoltatori sulla politica, e la lamentela di turno è che i politici si diano gratuitamente del tu e si chiamino silvio, clemente, pierferdi senza che ci sia amicizia fra di loro. Il tempo è messo a pioggia, e infatti pochi kilometri dopo essermi reimmesso nella statale dalle parti di Rovereto sono già invitato a fermarmi ad una stazione di servizio, dove prendo un cappuccino e una brioche aspettando che spiova. Li sono due o tre ometti del posto, uno è un barbuto che non mi parla, un altro mi spiega come entrare o non entrare a Rovereto, un altro fa le solite osservazioni sul risciò che presto per me sarebbero diventate la routine: te lo sei costruito tu, da dove arriva, ha il motore, quanti km hai gia fatto, ma sei italiano, … poi sembra che smetta e mi riprendo a muovere, ma il grosso doveva ancora venire: a Rovereto ad una stazione di servizio AGIP in viale Trento sono costretto a fermarmi nuovamente. Là prendo un the, nell’annesso spaccio-tabaccheria-ricambi auto compro una carta del telefonino da 10€, la carico, prendo una brioche, leggo il giornale locale, scambio due chiacchiere con la donna di mezza età al bancone. Poi gradualmente la pioggia è diventata sempre meno forte, per rimanere una pioggerella fine e inerme. E sono ripartito vestito il più leggero possibile (quella pioggia era una doccia calda) e tenendo la giacca impermeabile a portata di mano. In questi giorni le notizie climatiche che mi giungono da Genova, dove i miei familiari mi stanno aspettando, sono inquietanti temperature intorno ai 40 gradi.
A fine agosto!
Da qualche parte a sud di Rovereto la statale 12 attraversa un'area con dei grandi massi, e ad un certo punto passando si vede a lato della strada su una stele un'iscrizione con una citazione tratta dalla Divina Commedia, in cui Dante descrive proprio questa valle.

“Era loco ov'a scender la rivavenimmo, alpestro… qual è quella ruina che nel fianco di qua da Trento, l'Adige percosse o per tremoto o per sostegno manco che da cima del monte si mosse…”

Ho sentito dire che Dante ha avuto l'ispirazione in questa valle per scrivere la Divina Commedia.

Nei pressi di Ala di Trento mi sono fermato perchè un anziano automobilista mi ha aspettato ad una piazzola di sosta e mi ha fermato per chiedermi se poteva fare delle foto di me e del veicolo.
Cito espressamente questo fatto perchè è stata praticamente l'unica persona privata del Norditalia che fra centinaia ha avuto la buona creanza di chiedere il permesso per fare delle foto, e che me le ha in seguito anche spedite a casa.
Il caro signor Federici di Caldiero (VR) mi ha fatto vedere una cosa che altrimenti non avrei mai notato: sulla cima del pendio alla nostra sinistra è situata una iscrizione a caratteri cubitali che ricorda un po' la scritta “Hollywood” in America. è un ricordo del fronte italo-austriaco durante la prima guerra mondiale, che aveva proprio su quella altura uno dei suoi punti più caldi..

il tempo non era bello ma il morale alle stelle, giù per il corso dell'Adige


Un'altra volta dalle parti di Avio mi sono fermato da un agriturismo a comprare un po' di queste fantastiche mele del Trentino, siccome stavo per lasciare la regione. Proprio mentre ero nel cortile della tenuta con il proprietario ha ricominciato a piovere forte, e mi sono riposato una mezz'ora mangiando le mele e ascoltando la radio. Appena è stato possibile ho ripreso a scendere la valle e ho tirato avanti per chilometri e chilometri finchè non mi sono accorto che intorno a me e all'adige, il fiume che mi accompagnava finora a fondo valle e che invece ora correva con me fianco a fianco, sempre più maestoso, volavano gabbiani, e le montagne che mi precludevano l'orizzonte ormai da quasi una settimana si stavano addolcendo fino a rimanere una sagoma ondulata in lontananza sulla mia sinistra, mentre la strada mi conduceva spedita verso Verona. Era uno di quei momenti in cui avrei volentieri fatto qualche foto.

L'ingresso nella Pianura Padana, la luce limpida e vermiglia del pomeriggio dal cielo ripulito dalla pioggia, e le pozze d'acqua scintillanti dappertutto sulla strada. Un'atmosfera dimessa e festosa allo stesso tempo. Era una festosità della natura ma non degli uomini, che rinchiusi nelle loro scatole ambulanti, non appartengono affatto al paesaggio in cui mi trovo immerso. Sono mondi distaccati, per cui ogni strada non è un'esperienza, ma un semplice viadotto, da percorrere il più inavvertitamente e il più velocemente possibile.

Entrare in Verona mi presenta qualche problema, perchè arrivato nei pressi della città, seguendo coscienziosamente le indicazioni per Verona-centro, finisco su una specie di tangenziale. Non è una strada vietata alle biciclette, ne ad altri veicoli “lenti”, ma cionostante ben presto ricevo l'impressione di essere su una vera e propria autostrada. Con il fondo stradale di una strada cittadina media, cioè con frequenti rattoppi e gradini. Ben presto sento intorno a me che alcuni automobilisti sono disorientati ed aggressivi nei miei confronti, soprattutto quando la carreggiata diventa ad una sola corsia per lavori stradali. Ma cosa vogliono da me? Io non faccio che attenermi alle norme della strada, quindi non ho niente da temere e non mi lascio intimorire da un insulto o da un snervante suono di clacson che mi colpisce alle spalle. Quando dietro di me si forma una fila di auto che non possono sorpassarmi e che non sono preparate a dover viaggiare a 30km/h invece che a 90 per colpa di un deficiente esibizionista, e molti intonano un concerto di clacson, io accolgo quest'invito e mi aggrego allegramente al coro con la mia trombetta. Sempre fidandomi delle indicazioni per il centro mi ritrovo su un bivio dove esattamente nel mezzo c'è il cartello dei divieti che compare sempre all'ingresso di una superstrada (no ai carri a cavalli, no ai motorini, no alle bici e agli autostoppisti...per un certo verso sono autorizzato a sostenere che non rientro in nessuna di queste categorie, e certamente non avrei torto. Il buonsenso mi dice però che qui le cose si potrebbero complicare per me). Essendo la strada ad una sola corsia e avendo dietro di me una mandria di bisonti inferociti in corsa non ho avuto molto tempo per pensare a dove mi stavo andando a cacciare. Perciò sono salito sulla rampa che mi avrebbe evidentemente portato nel centro, nonostante mi fosse proibita attraverso quel cartello piazzato in quella zona ad “alta velocità coatta”, e mi sono ritrovato nella corsia di emergenza della superstrada-tangenziale. Ed ecco che puntualmente dietro di me compare la volante degli agenti stradali. Cosa vorranno da me? Sono due simpatici ragazzi meridionali, che sono accorsi perchè qualche automobilista li ha chiamati d'urgenza, allarmato per la presenza di un mezzo anomalo e lento sulla tangenziale. Bene, forse ho usato parole troppo dure con questi bravi ragazzi, lamentandomi della segnaletica collocata in un punto sconveniente, della pericolosità di questi errori nell'organizzazione stradale, e più in generale della eccessiva velocità della maggior parte dei veicoli transitanti nel tratto non vietato alle biciclette che avevo percorso finora. Avevo , diciamolo pure, i nervi a fior di pelle per via di questa situazione imprevista, e sicuramente i gendarmi hanno compreso di essere là non per difendere gli utenti della strada da un pazzo, ma per difendere un utente della strada da certi pazzi che vi transitano pur con tutte le carte in regola. Mi hanno gentilmente accompagnato per qualche centinaio di metri fino ad una uscita, e mi hanno indicato la via per arrivare direttamente nel centro di Verona, senza incontrare altro traffico veloce.
E qui mi sono accorto di essere arrivato in una metropoli italiana. Da cosa? Ma dal fondo stradale naturalmente. Mettetemi su una strada di città sconosciuta, lasciatemi percorrere qualche metro bendato e vi saprò dire se siamo in italia o a nord di Trento. Perchè poi la gente si compra dei fuoristrada per transitare in città? Mah, un ulteriore motivo potrebbe essere l'esigenza di sentirsi ben attrezzati su strade che sembrano mulattiere di montagna.
Se si viaggia con un risciò, il cui unico sistema di sospensione consiste nella capacità di attutire i colpi delle camere d'aria e dei 4 ciambellotti di gomma posti fra telaio e cabina , e che è altrimenti sprovvisto di sospensioni a molla, bisogna stare molto attenti a questi terreni sconnessi, perchè si possono percorrere solo a patto che una eventuale buca si prenda ad una velocità molto bassa. Questo vale naturalmente anche per le biciclette, ma in particolar modo per veicoli in cui gran parte del peso poggia sui semiassi posteriori.
Piano piano percorrendo questa stradaccia di periferia, ma popolata di gente simpatica che dai locali continuamente mi invitava dentro per un drink – era ormai l'ora dell'aperitivo- , sono giunto ad una pasticceria per comprare qualche dolciume tipico, ma soprattutto per rifarmi gli occhi con queste fantasiose tentazioni per golosi. In occasione di questa pausa mi sono cambiato d'abito onde essere all'altezza di una città di storia e cultura alte, e non presentarsi come uno straccione. E smangiucchiando via via queste pasterelle veronesi sono arrivato al corso di Porta Nuova, una strada larghissima che per la dimensione mi ha ricordato la praghese piazza san Venceslao. Mentre mi trovavo lungo questa strada fermavo tutti i passanti per chiedere loro dove fosse la Deutsche-Bank, perchè sapevo che a Verona c'è una filiale con lo sportello bancomat ma non sapevo dove. Mi dovevo stupire di come là nel centro la maggior parte della gente fosse letteralmente spaventata dal fatto che rivolgessi loro la parola. Forse perchè assomiglio ad uno zingaro? O perchè paurosi di avere a che fare con un lavavetri che invece che estorcere soldi con la spugna e la gomma li estorce con la carrozzella? O semplicemente perchè non si capacitavano di venire pregati di un indicazione da uno sconosciuto che avrebbe potuto avere cattive intenzioni. Temo che tutti noi in italia abbiamo imparato dalle nostre mamme a non parlare con gli sconosciuti, e che purtroppo però questa raccomandazione per molti di noi non smette di valere vita naturaldurante.
È un peccato grandissimo, perchè parlare agli sconosciuti è il modo migliore per integrarci e per farci integrare!
Di fatto le uniche persone un po'normali che camminavano per la strada erano i lavoratori stranieri, alcuni dei quali anche in bicicletta. Nessuno mi ha saputo o voluto dire dove fosse questa benedetta deutsche-bank. La prossima volta forse devo chiedere della “diuich benk”, che forse riconosceranno almeno coloro che si vantano di parlare inglese.
In effetti alla fine la Deutsche Bank era proprio dietro l'angolo!
In fondo alla via già si vedevano delle arcate giganti, oltrepassate le quali mi sono ritrovato in questa grande piazza, la piazza Bra. Di fronte al palazzo della Gran Guardia mi sono fermato a stiracchiarmi un po' negli ultimi raggi di sole, quindi ho cominciato a girare la città e a guardarmi attorno. La prima cosa interessante era lo spazio antistante l'Arena di Verona. C'erano venditori a bizzeffe, guide turistiche, chioschetti di gelato ambulanti, mendicanti di servizi inutili e tutta quella schiatta di personaggi. Mi sono subito fatto oggetto di attenzioni negative, del tipo “un altro che ci toglie un altro po' di guadagno sull'intortamento di turisti”.
D'altronde sul tettuccio giallo del mio veicolo si stagliava la scritta “Taxe”, che è la dicitura Berlinese per “taxi”.
Inoltre là c'era del trambusto attorno a non so quale evento pubblico. In pochi giorni qui si sarebbe svolto il Festivalbar, un festival di musica pop ad ingresso libero nell'Arena di Verona.
L'arena aveva l'aspetto di un qualunque monumento antico di una qualunque città turistica italiana, con tutta la cineseria di souvenir che c'è attorno. Forse è meglio tornare qua di notte quando tutto è tranquillo. Ho già confermato di essere presso Vicenza nella tarda mattinata di domani, perciò ancora stasera devo ripartire da Verona e lasciarmi indietro il grosso della strada regionale che congiunge Vicenza alla città scaligera.

Poi mi sono fermato un po' nella piazzetta dove si erge l'arco dei Gavi, a godermi il panorama dell'Adige e del sovrastante ponte annesso al castello, e a telefonare con la mia famiglia.
Là mi sono imbattuto in un'altra specia di persone veronesi, cioè i figli degli extracomunitari di una volta, i meridionali. Ragazzi e ragazze non molto distanti nell'aspetto e nell'atteggiamento dai pastorelli che descrivevano nel '700 gli artisti tedeschi durante i loro tour al di qua delle Alpi (eh si, da qualche giorno mi sento un po' Goethe anch'io, come i tedeschi di cultura medio-alta che scendono in Italia e la osservano con occhi incantati).
Questa gioventù dapprincipio diffidente e scostante ha avuto però il piacere di provare a guidare il mio veicolo in quello spazio intorno all'Arco dei Gavi, devo dire in complesso con risultati davvero buoni. Dopo un'altro po' di passeggio per il centro di Verona, ritornai all'Arena e mi diressi fuori dalla piazza attraverso via Leoncino, fiancheggiando un'area chiusa per lavori presso l'Arena, e lì sento delle voci amiche che mi chiamano:
“amico! Hei amico!” "Are saalaa!". Sono degli indiani che lavorano nei “kebab” di quella via.
Uno dei gestori di questi kebab si chiama Mintu, ma prima di capire come si chiamasse ci è voluto un po' di tempo, poichè presentandomi dicevo indicando verso me stesso “Rocco” e lui replicando con lo stesso gesto verso di sè diceva “Me too”, che sarebbe in inglese “anch'io”... "Min-tu": me l'ha dovuto scrivere per farmi capire che non si chiamava Rocco anche lui.. peraltro altamente improbabile per un indiano dell'India. è uscito dal suo negozietto con il tipicamente turco cilindro di carne di vitello che si arrostisce girando sullo spiedo verticale, e rimane là sulla strada fra lo stupito e il divertito.
Semplicemente non riesce a concepire come un veicolo che appartiene agli elementi esclusivi del suo Paese o al limite anche di qualche altro paese asiatico, sia ora davanti ai suoi occhi qua a Verona, in Italia. Ancor di più lo stupore accorgendosi che l'autista non è un compaesano, ma un italiano... E siamo a Verona, e pensare che a Monaco, a 5 ore di autostrada, nessuno si stupisce di questo tipo di veicolo. Siccome è indiano e in India questi veicoli li guidano un po' tutti, non ho bisogno di spiegargli niente per quanto riguarda gli accorgimenti per manovrarlo, e lo faccio subito un po' pedalare allegramente per la via e farsi vedere dai suoi vicini.
Proprio in quel mentre mi chiamava al telefonino il mio vicino di casa indiano Bali da Monaco, colui che mi abbevera le piante in casa in mia assenza, e già che sono con questi indiani gli passo Mintu al telefono, e questi due si parlano per 10 minuti in indiano fitto fitto al telefono.. alla fine pare che siano diventati amiconi.
Questi indiani sono troppo simpatici, io ci ho lavorato assieme e ho avuto modo di conoscerne un po' la cultura... spero che si portino presto un po' dei loro risciò qui a Verona per fare un po' di trasporto a misura d'uomo anche qui. Sempre meglio che vendere una specialità che non appartiene alla loro nazione, no?. è come se io vendessi matrioske russe a Bangkok, o sushi giapponese a Buenos Aires!
Questa sera sono accolto come un fratello da questo indiano, che mi offre qualcosa di sostanzioso da mangiare e da bere.
Dopo questo graditissimo ristoro, con lui ed altri colleghi abbiamo fatto una cosa spassosissima, che consiste nel pedalare a fianco di gruppi di passanti e come se niente fosse sfiorare delicatamente le loro teste o le loro caviglie se sono donne con la gonna, utilizzando uno speciale scacciamosche thailandese. I passanti 99 su 100 non reagiscono in alcun modo scocciati o innervositi come si ci aspetterebbe, ma si scansano docilmente come pecore. è un effetto che io chiamo appunto “effetto pecora”.
Quando si ci deve fare strada in una via molto affollata è l'unico modo davvero efficace per procedere nella folla. Tenere davanti al manubrio questo scacciamosche di paglia intrecciata, e con esso dolcemente scostare le persone sfiorando una spalla, o un orecchio. Funziona meglio di qualunque clacsos per quanto assordante. Entusiasti di questa azione nella piccola stradina, abbiamo allora pedalato in piazza Bra in mezzo alle aiuole, facendo lo stesso fra le poche persone che, ormai fattasi sera inoltrata, camminavano ancora sul lastricato.
Ma è ora di lasciare la città ed incamminarsi sulla statale 11 verso Vicenza. Nei pressi di Porta Nuova trovo infine la Deutsche Bank, dal cui bancomat tiro fuori un altro po' di denaro liquido.
La notte è ancora giovane e mi piacerebbe oggi ancora pedalare e pedalare fino a recuperare tutto il ritardo rispetto al mio piano di viaggio accumulato in Tirolo.
Le strade erano completamente deserte e a parte un gruppetto di donne americane che quando ho rivolto loro la parola dall'alto del mio sellino sulle prime volevano fuggire impaurite (è prudente non rivolgere la parola nella notte a delle donne sole se si è uomo e in più scuro in viso: questo può scatenare inattesi attacchi di violenza), non camminava nessuno per la strada.
Pochi bars che stavano lì lì per chiudere, altrimenti nulla che mostrasse una vita notturna. Appena fuori Verona, già alcuni cartelli indicavano una deviazione a nord per evitare un ponte fra Vago e Caldieri che stavano ricostruendo, o ristrutturando, ad ogni modo inagibile. Questa via alternativa sembrava non finire mai. Si svolgeva su strade di campagna e in mezzo a capannoni industriali per lo più nell'oscurità più totale. Ai rari automobilisti che ho incrociato lungo quelle vie buie devo essere apparso come un fantasma nella notte. Solo un gruppo di ragazzini di passaggio su un'automobile hanno avuto l'interesse di sapere di più, e mi hanno affiancato, e quello che ha tirato giù il finestrino mi ha chiesto candidamente: “ma chi ca**o sei?”, la tipica domanda a cui a quell'ora verrebbe da rispondere “babbo natale”. Invece abbiamo camminato per qualche centinaia di metri e a cavallo di un cavalcavia spiegavo che cosa ci facevo lì, e che stavo colà andando a Vicenza e che dovevo essere là entro la mattinata successiva.
La restante parte del tragitto fino a San Bonifacio è stata priva di eventi interessanti. Non c'era nessuno per strada, il paesaggio consisteva in un susseguirsi di fabbriche, vendite all'ingrosso e grandi magazzini, e pedalando non ho potuto far altro che ascoltare la radio e fare qualche telefonata ad amici di tanto in tanto.
Nel tratto di strada che delimita a nord il centro abitato di San Bonifacio mi sono fermato presso un paio di hotels per chiedere quanto mancasse per Vicenza, e quanto costasse dormire là da loro. Ma a mio avviso era troppo caro spendere non meno di50€ per qualche ora di sonno, e oltretutto non avevo poi tanto sonno. Così ho proseguito, era una serata tranquilla e non troppo fresca, e sarei andato anche molto avanti, se non fosse cominciato a piovigginare.
Ero in località Torri di Confine. Siccome era notte e sarebbe stato scomodo bagnarsi nell'aria fresca della notte, ho pensato di fermarmi, bere qualcosa e aspettare che finisse di piovere. Così mi sono fermato in uno spiazzo davanti ad un cancello di uno stabilimento. Era tarda notte, e dopo un po' che stavo seduto sul sedile di dietro del risciò è sopraggiunta la stanchezza, e la necessità di fare un sonnellino. Ho indossato la maglia di lana, il pullover e la sciarpa, e mi sono avvolto per bene dentro il pastrano di feltro.
Proprio allora, quando ero già quasi beatamente abbandonato nelle braccia di Morfeo, si sentono i passi concitati di due persone che si avvicinano. Mi accorgo attraverso il pastrano che questi due mi armeggiano attorno con una torcia, evidentemente devono prima capire cosa sia questo veicolo, e poi capire cosa sia questa cosa avviluppata in questo pesante tessuto nero. Molto cautamente tiro fuori metà della testa e prego le persone di abbassare la torcia che mi acceca la vista. I due gendarmi, o guardie notturne che fossero, sono accorsi perchè sono stati chiamati da qualcuno che ha visto armeggiare con una torcia nei pressi del cancello davanti al quale mi sono fermato in sosta. E devo spiegare anche a loro che cosa ci faccio là,che ho solo fatto una pausa per riposarmi un po' durante la marcia fino a Vicenza, e che sono innocuo.
Si soffermano ancora a controllare il mio documento per una decina di minuti, e finalmente tranquillizzati se ne vanno. Ora potevo finalmente dormire qualche ora indisturbato.

Besenello-Verona: 76 km ;
Verona- Torri di Confine: 33 km :
oggi ho percorso 109 km netti.


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