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Il risciò: L'unica utilitaria davvero ecosostenibile: fa mediamente 100 km con un kg di pasta e ci vai praticamente ovunque. E la tua? in risciò da Monaco di Baviera a Genova
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Diciottesimo Giorno

Lunedi 10 settembre 2007

Come andò che in un grande ospedale milanese mi alleggerii di mezzo litro di sangue, e feci un giro per il centro di Milano con degli intrattenitori finlandesi.



I l Niguarda è un enorme complesso ospedaliero, in cui ero già stato una volta qualche tempo fa per problemi di salute di un parente, e già allora mi ero immaginato come sarebbe stato bello, siccome allora ero a piedi, poter muoversi agevolmente fra un padiglione e l'altro su di un risciò, e magari portare in giro i pazienti più anziani che hanno problemi a camminare, o far divertire un po' quelli più piccoli.

L'ingresso spettacolare dell'ospedale Niguarda

Varcato l'ingresso monumentale di candido marmo bianco in stile del ventennio, con delle statue imponenti che raffigurano un'infermiera, un prete e un medico, sono stato accolto dal personale dell'ufficio rapporti con il pubblico, dove mi stavano aspettando.
Il direttore del Giornale del Niguarda, un notiziario che viene pubblicato dall'ospedale con frequenza bimensile ed è anche disponibile online presso il sito dell'ospedale, mi ha gentilmente accompagnato nel reparto delle trasfusioni, spiegandomi come funziona la donazione.
Oggi c'è piuttosto tanta gente a donare sangue, e devo aspettare un bel po' prima che mi venga fatto da una dottoressa il colloquio preliminare, a cui segue la misura della pressione e la puntura sul dito per esaminare il sangue.
Finalmente alle 11 sono portato nella sala con le poltrone a sdraio dove si ci siede per farsi prendere il sangue con tranquillità, e dopo una decina di minuti sono già “alleggerito”.
Ora posso andare con i buoni pasto a prendere un panino e una bibita nel bar dell'ospedale. Di più con quei 4 euro non posso prendere. Però sono contento di aver dato il sangue invece che in Germania come al solito – in Germania quando doni il sangue di solito hai un sacco di roba da mangiare nella sala d'attesa, e anche dopo la donazione puoi mangiare e bere finchè sei completamente sazio. Inoltre ricevi 20€ come “ricompensa simbolica”.
Però quando invece dono in Italia mi viene fatto il check-up completo del sangue e mi vengono spedite gratuitamente le analisi a casa. È sempre una gioia scoprire ogni tanto che anche la medicina tradizionale concorda nel ritenere il mio sangue in discreta salute.
Dopo essermi ripreso abbastanza dalla trasfusione sono andato a prendere il risciò che avevo lasciato parcheggiato fuori dall'ingresso e sono entrato dall'ingresso del personale. Prima di cominciare a girare per il complesso ho preso all'entrata ancora un cappuccino, una spremuta ed un cappuccino. Davanti al bar ho incontrato un uomo che era qui per la figlia che era lì ricoverata per problemi di tumore. Mi ha detto che l'aria qui a Milano è davvero mortale, se ci si abita a lungo. Io non ci abiterei per tutto l'oro del Mondo, e non capisco come possa esserci gente così decadente da abitarci solo per fruire della cultura, o per la moda, o per il fatto che ci sia sempre tanto movimento. Naturalmente non sono l'unico a pensarla così. Infatti la maggior parte dei milanesi non vivono a Milano, ma in località distanti almeno dieci chilometri, e ci vanno solo per motivi contingenti, e chi può lo fa con una macchina confortevole che lasci dimenticare il degrado e la bolgia infernale delle sue strade, e chi non può con i mezzi, avendo come estremo desiderio quello di potersene permettere una.
Milano, se la conosci la eviti, se la conosci non ti uccide.
Questo signore, che infatti si tiene ben lontano da Milano abitando a Como, mi ha raccontato che le auto usate targate Milano non hanno speranza di essere vendute a Como: tutti sanno che sarebbe un cattivo affare, per via delle sospensioni compromesse. Insomma Milano sarebbe una città che, grazie alle sue strade volontariamente tenute dissestate, aiuta l'industria automobilistica a vendere auto nuove. Bingo!
Le successive due-tre ore sono dedicate all'esplorazione dell'intero complesso ospedaliero, per avere un'idea di dove è cosa si trova fra quelle mura, e poi soprattutto al trasporto di persone. Il fatto che io sia qui oggi è semiufficiale, infatti mi capita di incontrare personale medico che non ne sa niente e mi guarda con sospetto. Per il resto alcune persone anziane si lasciano guidare da un padiglione ad un altro, fra cui ricordo in modo particolare una donna che avrà avuto almeno 90 anni ma nello spirito ne dimostrava al massimo 28. Doveva ritirare degli elettrocardiogrammi e l'orario di visita era già quasi finito.
Non finiva di ringraziarmi e di augurarmi ogni bene, chiamandomi “tesoro” e “amore”. In un angolo dell'area ospedaliera c'era anche una specie di piccolo maneggio per i bambini, e là dimenticato in un angolo ho potuto vedere un risciò. Mi direte “ma come un risciò, ci sei seduto sopra!” . Ma intendo un risciò di quelli antichi cinesi, con le ruote grandi e i due manici davanti per potersi far trasportare da un asinello, o da un pony, o da un uomo a piedi. Non ne avevo mai visto uno dal vero. Poi sono tornato al bar all'ingresso, dove ho preso un'altra bibita e un'altra cosa da mettere sotto i denti. Non ero indebolito dal sangue che mi era stato tolto, ma non volevo neanche correre rischi, soprattutto in questo periodo di particolare impegno fisico, e soprattutto in questa giornata particolarmente calda.
Al bar ho incontrato in veste di giornalista Francesco Scarpace, un uomo molto intelligente che ha scritto un saggio molto interessante e finemente critico sul tema a me caro del trasporto personale nell'ambito dell'industria del turismo. Lo consiglio vivamente, è fruibile per tutti in rete all'indirizzo

http://www.francescoscarpace.com/Tesi%20di%20Laurea.htm

Abbiamo poi cercato per alcuni minuti un paio di persone che volessero farsi fotografare seduti con il risciò, ma stranamente di tutte le persone che passavano di là in quel lasso di tempo nessuna ha voluto prestarsi al gioco!
Quando lasciai l'ospedale erano ormai le 4 del pomeriggio e dovevo decidere come usare il resto del pomeriggio senza stressarmi troppo.
Se ancora mi stuzzicherebbe l’idea di farmi fare qualche foto davanti al Niguarda con la sua bianca facciata monumentale, alla fine arrivato alla rotonda di traffico decido di prendere la direzione del Centro. Cerco di ripercorrere la stessa strada di ieri e dell'altro ieri, per non perdermi, e lungo il viale Monza mi sono fermato ad un supermercato per risolvere la questione dello joghurt.

Fra una cosa e l'altra in queste passate due settimane non ho avuto la costanza di occuparmi di mangiare lo joghurt, un derivato del latte che di solito appartiene alla mia dieta quotidiana.
Ho trovato qualche tempo fa un prodotto che si compra in Germania in qualunque supermercato, chiamato “Kefir”, che è praticamente un grosso vasetto di yogurt. Solo che a differenza di quello che normalmente si compra al supermercato con su scritto “yogurt fresco-fermenti lattici vivi”, in questo “Kefir”, anche se sulla confezione non c'è scritto niente, o forse proprio per questo, i fermenti lattici ci sono davvero, e sono davvero vivi!
Infatti se mettete del latte nel barattolo dopo aver mangiato il contenuto e lo lasciate stare ad una temperatura tiepida e costante per qualche ora, tutto il latte si trasforma in yogurt! Una volta spesi quei 60 centesimi per fare l'esperimento, non ho più smesso di riprodurlo ogni uno-due giorni e così da mesi e mesi ogni mattina faccio colazione con lo yogurt fresco di giornata, discendente di quello del barattolo di Kefir. è troppo buono e costa solo il prezzo del latte. Ora, prima di partire ho pensato di non portarmi dietro anche la yogurt-cultura, l'ho lasciata ai vicini in mia assenza, come si fa con le piante o i canarini, per poi continuare a riprodurlo una volta ritornato a casa. In realtà pensavo che se ne avessi avuto bisogno avrei potuto comprarlo in qualunque supermercato, senonchè sbirciando in un sacco di negozi di alimentari qua e là, mi sono accorto che quasi tutti gli yogurt dei banco frigo italiani sono in realtà “crema di jogurt” “jogurt con frutta” “crema di jogurt con fermenti lattici vivi”. Siccome nemmeno a Milano trovavo qualcosa che si chiamasse o avesse l'Aspetto del “Kefir”, ho pensato di comprare un barattolo per ciascuna marca di “jogurt” che avessero “fermenti lattici vivi” e nessun additivo dichiarato.
Ho scommesso con mia zia che le avrei portato lo yogurt di supermercato che si può riprodurre all'infinito, sul modello del mio allevamento di kefir tedesco.
Domani sapremo se ho ragione.

Ho pedalato ancora un tratto, finchè non ho incontrato un piccolo cingalese che andava anche lui in direzione del centro, così l'ho preso su e lui mi ha indicato la strada da percorrere. Ma non era la stessa che ho percorso ieri. L'amico cingalese faceva capolinea in un'ampio parcheggio, e mi ha raccomandato di andare dritto per quella strada per proseguire fino al centro. Ma girando lo sguardo mi sono accorto che al di là di quel parcheggio si ergeva una struttura monumentale bellissima.
Ho chiesto ad alcune persone che sostavano presso il cancello d quell'area dove mi trovassi.
Era il Cimitero Monumentale, uno stupendo lascito del XIX secolo continuato anche nello scorso secolo con i vari monumenti ai martiri della libertà e tutto il resto.
Questo è un posto che in una futura sosta a Milano visiterei volentieri con calma.
Poi ho preso su un altro milanese, un romeno che suona il flauto in giro per la città, e che mi ha guidato fino al castello sforzesco.
Qua davanti al castello c'erano molti turisti, e colti dalla curiosità abbiamo chiesto ai presenti perchè mai il Castello Sforzesco si chiamasse proprio così. E qualcuno ci ha intelligentemente risposto che doveva essere stato un bello sforzo costruire un castello così grande. Certo, risponde qualcun altro, ma Sforza è il nome del principe che l'ha costruito. -Beh,- risponde ancora il primo che aveva parlato, -si vede che per diventare principe si deve essere Sforzato parecchio!- . Mi sembra una spiegazione attendibile; è come se io mi chiamassi Rocco Pedala.
Dal Palazzo Sforzesco fino al Duomo la via era semplice: sempre dritti per via Dante e da piazza Cordusio la via pedonale fino alla piazza.
Intorno al Duomo c'era un po' meno confusione che nel fine settimana, e sono rimasto un po' a riposarmi bevendo un sorso di vino.
Ecco che ad un bel momento mi si presentano due ragazzi stranieri, che dall’accento riconosco come Finnici, che devono andare alla stazione centrale. è quasi sulla strada di casa, così li invito a venire con me fino all’incrocio di corso Buenos Aires con via Vitruvio, per poi proseguire anche a piedi pochi metri lungo via Vitruvio fino alla stazione.
Dopo una divertentissima corsa in mezzo ad un traffico infernale di inizio settimana – e il peggio doveva ancora venire- mentre uno dei due finlandesi mi spiegava che il suo lavoro è il comico-presentatore televisivo, una specie di Fiorello finnico, l'altro filmava da dietro tutto quello che succedeva, mentre il comico diceva ai passanti una frase nella sua lingua, che per quanto ne so avrebbe potuto significare qualunque cosa.
Intanto ad un semaforo rosso ho spiegato loro come utilizzare il ventaglio thailandese, e si sono divertiti un po' ad accarezzare i passanti.
Poi, siccome hanno notato che mi adiravo continuamente per le macchine parcheggiate in seconda e addirittura in terza fila(!), mi hanno proposto di affiancarmi di volta in volta ai parcheggianti in seconda e terza fila per rimproverarli simbolicamente con una spazzatina di ventaglio in pieno viso. Forse la critica più efficace che ci sia.
All'incrocio con via Vitruvio ci siamo divisi ed io ho proseguito diritto verso casa. Alla mostruosa rotonda di piazzale Loreto ho svoltato in viale Brianza e ho proseguito fino al viale Enrico Fermi. E il traffico non diminuiva. C'erano delle donne pazze in mezzo a quel traffico impossibile, dove si stava praticamente parcheggiati in coda, che avevano ancora il coraggio di uscire a farsi un giro pomeridiano con il coupè. Come se fossero a Palm Beach! Per non stare fermo dietro un'auto in coda a respirare dal tubo di scappamento mi sono divincolato sfruttando il marciapiede e lo spazio fra auto in prima e auto in seconda corsia.
Gli automobilisti chiusi nei loro abitacoli non sembravano furibondi per il fatto di perdere tanto tempo imbottigliati nel traffico. Si vede che ci hanno fatto l'abitudine.
Poco prima di raggiungere l'ospedale mi sono accorto che dovevo assolutamente trovare una toilette, e alla prima occasione ho parcheggiato sul marciapiedi, ho fatto il gesto di time out al barman del bar, e sono sgattaiolato nei bagni.
Intanto il barman mi sbraitava dietro che non si fa così, che questo è un locale e non una toilette pubblica, ecc. Quando ho finito e sono tornato con più tranquillità, ho spiegato al barman che non avrei mai potuto ordinare qualcosa da bere senza prima aver svuotato la vescica. É una legge fisica che il gestore di bar dovrebbe conoscere. Ho ordinato un latte di mandorla, o un'orzata, che poi è la stessa cosa. Mentre sorgevano dagli avventori del bar le solite domande, mi si è presentato un giovane giornalista che scrive per Cronaca vera, un settimanale che per molto tempo era conosciuto per ritrarre in copertina graziose ragazze in desabìle. Gabriele Ferraresi sembra un giornalista serio, soprattutto sembra profondamente interessato al tipo di comunicazione che sto portando con me, e... anche lui ha già scoperto che la bicicletta è il mezzo più adatto per muoversi in libertà.
Così ci diamo appuntamento per l'indomani mattina nello stesso bar per un servizio giornalistico. Sono proseguito verso Cormano e già piuttosto tardi sono arrivato al garage. Ho cenato benissimo grazie al talento culinario di mia zia, e sono anche oggi andato a dormire presto, dopo aver posto diversi barattoli di latte con lo yogurt che ho comprato oggi in un luogo tiepido e riparato.
Domani mi aspetta un tragitto monotono e rettilineo fino a Pavia, seguendo il Naviglio Pavese verso sud.

Cormano-Milano-Cormano: 20 km


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